Gino, testimone del Novecento

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GIORNALE DI BRESCIA · Giovedì 4 maggio 2017

GINO, TESTIMONE DEL NOVECENTO DAL FASCISMO ALLE LOTTE SINDACALI
È uno degli ultimi reduci di El Alamein. Prigioniero di guerra per quattro anni in Egitto, Palestina, India

Enrico Mirani
e.mirani@giornaledibrescia.it

«Era un ragazzino il soldato greco che mi sono trovato di fronte. Ci siamo guardati un attimo negli occhi, poi i nostri compagni intorno hanno cominciato a ritirarsi e anche noi, d’istinto, abbiamo fatto lo stesso».
Se chiedi a Gino Compagnoni il ricordo di un momento drammatico della guerra, racconta questo episodio. Fronte greco albanese, inverno del 1941, l’ennesimo assalto all’arma bianca nel fango. «Avremmo dovuto scannarci a vicenda, invece è andata bene».
Gino è tornato alle posizioni di partenza con una leggera ferita di baionetta al ginocchio. Un fastidio trascurabile rispetto al freddo, alla fame, ai pidocchi, alla paura. Ma potrebbe narrare centinaia di fatti di cui è stato protagonista durante la guerra. Gino, classe 1921,96 anni il 26 maggio, cittadino doc – da via Trento al Carmine – è uno degli ultimi reduci della battaglia di El Alamein, il 23 ottobre 1942. (1) Forse l’ultimo bresciano. È in buona salute («Ma sono un po’ sordo»), lucidissimo, con una memoria eccezionale. La sua biografia è un compendio di storia del Novecento. Testimonia le tragedie, le delusioni, gli entusiasmi e le speranze dell’Italia nel secolo breve.
Una straordinaria sequenza di fatti, persone, esperienze. Lo zio Bonifacio caduto nella Grande Guerra, il padre Felice morto in Francia esule antifascista nel 1935, la gioventù nelle organizzazioni del regime e la passione per la musica, la partenza come mitragliere volontario per il fronte albanese, l’addestramento per diventare parà della Folgore, il trasferimento in Africa, la cattura ad El Alamein, quasi quattro anni di prigionia in Egitto, Palestina e India, il ritorno a Brescia nel febbraio del 1946, il lavoro alla Sant’Eustacchio, le lotte sindacali, l’impegno come dirigente dei metalmeccanici e dei pensionati Cisl, la presidenza onoraria dei paracadutisti bresciani. Un libro vivente di storia. Nel suo studio le pareti sono coperte di libri e documenti. «Insieme a mio genero Giorgio sto mettendo tutte le mie carte nel sito internet», puntualizza Gino. «Ha conservato tutto ciò che riguarda la guerra e la sua attività sindacale», aggiunge la figlia Anna (suo fratello Aldo e sua mamma Isoletta completano la famiglia).

Il diario. Durante gli anni della guerra e della prigionia Gino ha tenuto un diario, che conserva. Come il baule che l’ha accompagnato nei campi di prigionia. Sfoglia i raccoglitori e mostra le lettere di saluto dei militari inglesi conosciuti in Egitto, Palestina, India. «Con alcuni ero diventato amico». L’esperienza peggiore è quella sul fronte greco-albanese. «Ancora più della battaglia di El Alamein. Ti ordinano di combattere e tu devi farlo, non ci stai tanto a pensare». In Albania, ragazzo imbevuto di retorica fascista, fa i conti con la realtà: «Armi vecchie, indumenti insufficienti, rancio scarso». È sopravvissuto al freddo grazie ad un bersagliere: «Un nostro caduto, sul ciglio della strada. Gli ho preso maglia e mutande, altrimenti sarei morto di freddo». E poi il comportamento di molti commilitoni, in Grecia. «Tutti i vincitori si comportano allo stesso modo con i vinti, cioè male. Ricordo i nostri soldati che uscivano dalla caserma con una pagnotta in tasca per comprarci l’amore delle ragazze. Che schifo».
In prigionia. La notte di El Alamein, fra il 23 e il 24 ottobre 1942, è ancora viva nella mente di Gino. «Gli inglesi avanzavano con i carri armati, noi cercavamo di fermarli con le bottiglie incendiarie». Muore l’amico di sempre, il bresciano Peppino Reggiani, viene ferito il suo tenente, il futuro comandante della Folgore, Ferruccio Brandi. «Una sventagliata di mitra gli portò via mezza faccia, mi cadde addosso nella buca». È Gino a consegnarlo ai medici britannici. Il 24 ottobre il parà della Folgore Luigi Compagnoni diventa il prigioniero 355288. Per orgoglio, subito dopo la cattura, rifiuta l’acqua offerta da un inglese. Ma poi impara ad apprezzare i britannici e, caduto il fascismo, passa fra gli italiani che accettano di collaborare con gli Alleati.
Sulla sua vita Gino ha scritto anche un libro, «Altri tempi…», uscito nel 2012 (2). Il suo diario è stato la fonte principale. Sul frontespizio, nella copia regalata al cronista, mette la dedica: «Perché la memoria abbia un futuro».
«Perché a 19 anni mi sono arruolato volontario per la guerra? Cosa vuole, allora si era tutti fascisti. Io, classe 1921, ero cresciuto con i miti del regime». Gino, figlio di un socialista perseguitato dalla polizia di Mussolini, non evita certo l’argomento. «Eravamo ragazzi pieni di vita, di voglia di fare». Bastarono pochi mesi di guerra per capire l’inganno. Gino ricorda poco di suo padre. «A Brescia, senza tessera del fascio, non poteva lavorare. Se ne andò in Francia quando avevo 12 anni. Non potemmo raggiungerlo perché per i fascisti era un fuoriuscito. Negarono il passaporto a mia madre, a me e a mio fratello». Morì nel 1935. Prima dell’espatrio, in occasione di qualche ricorrenza particolare del regime o per la visita di un gerarca, «mio padre veniva incarcerato. Allora, per evitare la cosa, con le famiglie di altri socialisti ci rifugiavamo nella casa di un amico a San Rocchino».
Paracadutista, di nuovo, a 87 anni. Dopo il corso di addestramento nel giugno del 1942 a Tarquinia, Gino Compagnoni non si era più lanciato da un aereo. In Africa, appena arrivati, ai soldati della Folgore tolsero il paracadute: non serviva nelle sabbie del deserto. Gino ha deciso di riprovarci nel 2008. È andata così bene da rifarlo altre volte, fino a 90 anni. «Poi basta, glielo abbiamo proibito» dice la figlia Anna ridendo. «Fosse per lui lo avrebbe rifatto ancora». Uno degli ultimi lanci gli era costato la frattura di una caviglia: «Sa, non ero più agile come una volta», scherza Gino. Il volo più emozionante nel 2009, in compagnia del figlio Aldo e del nipote Gabriele.
La biografia di Compagnoni, dalle vicende familiari alla guerra all’impegno sindacale nella Cisl, si trova, oltre che nel libro «Altri tempi…» (Arti Edizioni), nel sito www.ginocompagnoni.it, (3) in costante aggiornamento.

note 2025:

(1) Gino è stato l’ultimo reduce sopravvissuto della Folgore che ha combattuto ad El Alamein

(2) Il libro è esaurito nella edizione cartacea, ma scaricabile dalla home page di questo sito

(3) dal 2025, il nuovo sito è www.ginocompagnonimemorial.it


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