RACCONTO DI UNA VITA
Dall’adolescenza a Borgo Trento alla guerra d’Africa, dal sindacato al… paracadutismo: a 91 anni, Gino Compagnoni ha raccolto le sue esperienze in un libro
Luciano Costa
Quando si ha l’impressione di sapere tutto, o quasi tutto, di questa o quella persona, è facile scoprire di non sapere niente. Per esempio, pur sapendo di lui un’infinita serie di cose – lavoro, impegno sindacale e politico, squadra del cuore, passatempi e passioni – chi poteva immaginare che lui, il buon Gino Compagnoni, oggi novantunenne felice e prima, per tanti anni, sindacalista apprezzato della Cisl, fosse anche un buon scrittore e, soprattutto, un testimone del tempo, di quelli che di storia e di storie da raccontare ne ha accumulate davvero tante? Invece, capita adesso che un suo libro di memorie e testimonianze («Altri tempi…», edizioni Arti, Brescia 2012), si proponga come «somma di ricordi coperti da mille millimetri di polvere ma ancora vivi e proposta di viaggio alla scoperta di ciò che è stato»
Il 26 maggio compirà 92 anni: «Sono curioso, ma non ansioso di vedere come andrà a finire»
Gino racconta, stupisce, manda a dire tutto ciò che gli è «rimasto dentro», quello che gli impegni di lavoro e una certa ritrosia nel far sapere ad altri quel che era successo gli hanno impedito di mostrare. Il vecchio sindacalista, cortese e disponibile come è sempre stato negli anni in cui ha esercitato la «professione più bella e più bistrattata del mondo»(Segretario di categoria lavorativa, che cerca accordi per tutti ma che non trova mai il tempo per sottoscrivere il suo), racconta la sua straordinaria avventura, lunga una vita e per fortuna non ancora conclusa.
Tutto incomincia da Brescia, in una casa di Borgo Trento, dove Gino nasce e cresce, prosegue tra botteghe e officine, divisa militare e guerre, prigionia e ritorno alla libertà, viaggi forzati oltre gli oceani, rimpatriate faticose, anticamere infinite negli uffici in cui si potevano intravedere occasioni di lavoro, ascolto paziente di parole, a volte di conforto altre di assoluto disinteresse, domande presentate, consigli ricevuti, impegni onorati.
Poi, quello spiraglio che offre la possibilità di entrare nel sindacato, non uno qualunque bensì quello dei cattolici, la cui missione era quella di difendere la dignità delle persone chiunque fossero quali fossero le loro convinzioni politiche e religiose. Per cinquantacinque anni Gino Compagnoni è stato «sindacalista vero», cioè di «lotta» e di «proposta», sempre finalizzate ad ottenere contratti almeno decorosi.
Prima del sindacato, invece, Gino era uno dei tanti giovani rampanti per i quali la voglia di sfidare le ovvietà superava di gran lunga regole e imposizioni. Gli piaceva vivere libero e fare buona musica. Così fino a quando non dovette sottomettersi al «regime», che lo manda in caserma a Milano con l’obbligo di fare musica nella «gloriosa banda musicale del reggimento», e alle «sue» guerre, quelle che, brutalmente, mandano tutti, lui compreso, a conquistare terre nuove ed inutili.
Le pagine raccontano e mettono in fila ricordi e pensieri.
«Ci sono notti – scrive Gino nel suo diario -in cui rivedo gli amici delle elementari, il prato vicino a casa, le adunate del sabato contrassegnate dalla fanfara dei giovani fascisti, le sale della banda Paradiso di Milano, le guerre in Albania, Grecia e Africa – El Alamein, non un luogo qualsiasi-, i quattro anni di prigionia passati in Egitto, Palestina e India, il ritorno in Italia…». E qui, finalmente liberi e felici, le gite in «lambretta» (con Isoletta, che diverrà la sua adorata moglie, e più tardi col seguito di Aldo e Anna, i figli), le vacanze marine al Lido di Pomposa, quelle montane a Costa di Gargnano, tutte supportate da una «seicento» di terza mano.
In maniera speciale, Gino era affascinato dalla politica attiva, quella vissuta dal papà Felice, un «socialista libertario e per questo perseguitato dal fascismo, sottoposto a feroci controlli e ad angherie senza limite, costretto a fuggire in Francia…», dove rimarrà fino alla morte. «Mi rivedo – annota Gino tra le pagine del suo libro -in una fotografia ingiallita, insieme al papà e ad alcuni suoi amici: Carli, Frassine, Pasquetta, Cappellaro, Peracchi, Coltro, Squassina,tutti socialisti sinceri, tutti perseguitati ed emarginati; risento la voce di mamma Lucia che invita a stare tranquilli; ricordo la clausura forzata in occasione dell’inaugurazione di Piazza della Vittoria, le due perquisizioni fatte dai fascisti in casa nostra, col papà che riusciva a fuggire attraverso i tetti». Gino Compagnoni era dell’ Isola bella (l’attuale via Trento), confinante con Borgo Trento (detto «borg de le strase»), ricco di prati e di cortili dove i giochi permessi ai bimbi erano quelli della «lippa» (ciancol), del «pirlo» (trottola), del «barbanzec» (chiodo lungo), dei «picocc» (cinque sassi da far ballare). In estate, massima goduria, si aggiungevano i bagni nelle cascate del Mella (a Ponte Crotte), nel torrente Garza (in piazzale Cesare Battisti e al Canton d’Albera),nei canali Celato e Bova dove l’acqua era limpida, addirittura da bere.
Il papà faceva quel che poteva per crescere la famiglia, ma quel suo modo di fare politica, allora «coraggioso» oltre ogni immaginazione, gli procurò grandi preoccupazioni. Addirittura, fu costretto a vendere tutto per pagare i creditori. Seguì l’esilio in Francia. «Noi – ricorda Gino – dovevamo raggiungerlo. Invece, quando ci consegnarono i passaporti, la broncopolmonite lo assalì e lo portò alla tomba. Era il 1935, io cercai lavoro: quindici giorni non pagati come elettricista, poi mesi pagati poco come garzone di una salumeria in città e altri a Ghedi».
Che tempi! Il libro di Compagnoni racconta quei tempi alla maniera del diario: una data, qualche riga di spiegazione; un titolo seguito da due riflessioni; un ricordo condito con opportune lacrime. Nelle pagine scorrono gli eventi, il prima e il dopo, gli affetti e le conquiste sindacali, le vittorie e le sconfitte, le memorie prese per il bavero e ricondotte al presente. Dopo la guerra, benvenuta e provvidenziale, c’è la parentesi calcistica che vede Gino affermarsi come buon giocatore e, per questo, anche pagato (cresce a Brescia ma gioca prima a Pralboino e poi, per avvicinarsi a casa, per la Bedizzolese).
Dopo il calcio, Gino vive il «quarantotto» politico, sposa Isoletta il 10 settembre 1950, partecipa ai primi scioperi «spontanei», litiga con la Fiom, inventa la «bacheca» su cui vengono pubblicati comunicati, notizie e riflessioni sempre coraggiose,alimenta un’inchiesta dedicata al «comunismo bresciano dal quarantacinque in poi» (allora correva il 1957). Nello stesso anno frequenta un corso di formazione sindacale promosso a Firenze dalla Cisl (ci sono i ven-tenni bresciani Emanuele Braghini ed Eugenio Guarneri, ma anche i nazionali Pierre Carniti, Franco Marini, Mario Colombo, Eraldo Crea, Tonino Pagani, Paolo Sartori e Tiziano Toni). Poi, forte delle esperienze accumulate e dalla militanza attiva nelle Acli, entra nella Cisl, settore metalmeccanici, dove rimane fino al 1970.
Seguono gli anni dedicati ai braccianti e salariati agricoli e poi, lunghi e importanti, i tredici come Segretario della Fisascat, il sindacato del commercio, gli otto dedicati ai Pensionati bresciani e i quattro passati al nazionale del medesimo sindacato. In tutto, quarantacinque anni dedicati interamente a rendere meno problematico il lavoro di tanti operai e impiegati.
Tutto il resto è storia. Una storia che le fotografie pubblicate nel bel volume raccontano e amplificano: ci sono quelle storiche, ingiallite. C’è anche quella, del 1991, che ritrae Gino tra le maglie della Polizia (lo «fermarono» per accertamenti durante una manifestazione dei pensionati e dei dipendenti del pubblico impiego). Seguono quelle del «riposo», che Gino dedica al paracadutismo: una del 2008 lo raffigura a Cremona, prima di volare e poi in discesa rapida; un’ altra, del 2009, lo presenta in compagnia del figlio e del nipote, con i quali si è lanciato, felice e un po’ pazzo. Di tutte le fotografie e le notizie pubblicate, però, Gino Compagnoni, il vecchio «parà della Folgore», preferisce quella che lo ritrae ad El Alamein in compagnia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (del 2008) e l’altra, del 2011, che lo vede, alla bella età di novantanni, davanti al sacrario costruito nel deserto di El Alamein. Il prossimo 26 maggio Gino compirà novantadue anni e ha scritto a conclusione del suo libro: «Sono curioso, ma non ansioso di vedere come andrà a finire. Mi sono rimasti gli interessi, le passioni, la voglia di vivere e non importa se la forza fisica è diminuita».
Lascia un commento